L'ultimo Neanderthal racconta by Giorgio Manzi;

L'ultimo Neanderthal racconta by Giorgio Manzi;

autore:Giorgio, Manzi; [Manzi, Giorgio ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Antropologia culturale, Intersezioni
ISBN: 9788815370174
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2021-08-15T00:00:00+00:00


VI.

Una rivoluzione

A quel punto, il suono della sua voce (o quello che era, visto che non posso propriamente dire che parlasse) si fece più flebile; diciamo che ora il «mio» Neanderthal mi trasmetteva il suo pensiero più sommessamente. Doveva essere un episodio per lui importante e per questo sussurrava.

Mi stava raccontando di quando si era infilato in quel bosco, lungo il versante orientale del promontorio, poco distante dal mare.

Ormai albeggiava e l’aria si era fatta un po’ meno frizzante. Aveva dunque iniziato a muoversi con cautela alla ricerca di funghi, fra cerri e farnie, qualche roverella e alcuni lecci. Data la stagione, tutto era colorato di giallo e arancio, con qualche punta di rosso. Sul suolo una quantità di foglie già cadute formava un vero e proprio tappeto soffice e, in alcuni punti, anche piuttosto compatto.

Fu allora – e qui la sua voce, se di voce vogliamo parlare, si fece ancora più debole, quasi lamentosa – fu allora che cadde in quel precipizio. Era finito in una trappola della natura: era caduto in un pozzo carsico nascosto dalla vegetazione e dal tappeto di foglie morte, a tal punto da non essere visibile né percepibile in altro modo.

Sprofondò per alcuni metri, sbattendo ora la spalla ora il fianco contro le pareti irregolari di quel dannato pozzo. Mentre precipitava, aveva cercato sin dal primo momento di aggrapparsi a qualche appiglio, ma l’unico risultato era stato, dapprima, solo quello di afferrare foglie e, subito dopo, di farsi grattare il palmo delle mani, e un po’ anche i piedi, dalle pareti ruvide di roccia calcarea. Quando arrivò sul fondo del pozzo, fortunatamente cadde su un terreno soffice, composto perlopiù da guano di pipistrello.

Si controllò: non si era rotto niente e poteva camminare. E così fece, brancolando sempre più nel buio, a mano a mano che si allontanava dalla debole luce che filtrava fra la vegetazione all’interno del pozzo dove era precipitato.

Si aggirò a lungo in quelle tenebre, poggiando i piedi con cautela sul pavimento irregolare, pieno di pietre e di altre strane presenze, talvolta finendo in qualche pozzanghera. Tastava la roccia delle pareti della grotta e sentiva il suo respiro come rimbombare in quello spazio vuoto. Poi si infilò in un cunicolo; lo poteva capire dal fatto che entrambe le sue mani toccavano sia a destra che a sinistra le pareti e che sentiva anche i capelli sfiorare di tanto in tanto la superficie irregolare del soffitto della grotta.

Dentro di sé provava un sentimento misto fra la disperazione e la speranza, quando finalmente vide quel bagliore in lontananza. Lieto fine: il bagliore si fece sempre più forte e divenne la luce del giorno che quasi lo abbagliò, quando infine si trovò, felice, fuori della grotta.

Davanti a lui di nuovo la costa e il mare.

Storie del genere, pensavo, le possiamo comprendere perché conosciamo ormai abbastanza bene questi ultimi uomini diversi da noi: ne conosciamo l’aspetto, gli adattamenti, le abitudini e i comportamenti, ma ne sappiamo anche decifrare il patrimonio ancora custodito dalla sostanza biologica delle loro ossa: il DNA.



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